OSSERVATORIO CARCERE - UNIONE DELLE CAMERE PENALI

UNIONE DELLE CAMERE PENALI ITALIANE OSSERVATORIO CARCERE

MALGRADO TUTTO

Il 29 ottobre, in una cella del carcere di Spini di Gardolo Trento un giovane di 28 anni, detenuto in relazione ad una condanna per mesi 4 di reclusione per resistenza a pubblico ufficiale, è deceduto per "arresto cardiaco"; malgrado le richieste della famiglia, il Pm ha restituito la salma, senza disporre l'autopsia per individuare le cause del decesso, ritenendo lo stesso scrivibile a "cause naturali". (L’Italia e la Serbia sono gli unici due paesi dell’area europea a non prevedere l’autopsia obbligatoria in caso di morte in carcere).

L'8 novembre u.s. un detenuto presso la Casa Circondariale di Poggioreale, di 34 anni, è deceduto per la stessa ragione; ancora oscuro il luogo del decesso, risulta agli atti che fosse affetto da cirrosi epatica, con problemi circolatori e di coagulazione del sangue, bisognoso di un trapianto di fegato, con due pregressi referti che attestavano l'incompatibilità con il regime detentivo.

La famiglia ha reso pubbliche le foto dell'autopsia, autorizzandone la pubblicazione; la visione della salma è sconvolgente, come già avvenne per quanto occorso in occasione del decesso di Stefano Cucchi. (Il ministro della giustizia ha disposto un’inchiesta sulla vicenda per verificare eventuali responsabilità).

E' di qualche giorno fa la presa di posizione dell'UCPI, come al solito in splendida solitudine, sul permanere di Bernardo Provenzano in regime di 41 bis, in ragione "dell'evidente contraddizione fra il riconoscimento del grave stato di salute, che non gli consente di partecipare validamente al processo sulla trattativa Stato-Mafia, ed il mantenimento in stato di detenzione, per di più in un regime inumano".

Non è questa la sede per interventi sul merito delle vicende processuali e detentive sopra indicate, ma è possibile scorgere un filo rosso tra le stesse ed altre autorevoli pronunce che in questi giorni sono state rese pubbliche.

E' utile comunque ricordare la sentenza della Corte Edu del 17 settembre 2009, Enea c. Italia, con la quale in nostro Paese è stato condannato per violazione degli art. 6, par.1, 8 CEDU; nel caso di specie la Corte di Strasburgo, sanzionando l'Italia per violazione dei precetti sopra citati, ritenne tuttavia che non vi fosse violazione dell'art. 3 della Convenzione, non essendo stato "oltrepassato

l'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione" del ricorrente. In quel contesto, conformemente agli art. 45.2 della Convenzione e 74.2 del regolamento, venne allegata alla sentenza l'opinione parzialmente dissenziente dei giudici Kovler e Gyulumyan, che si riporta per sintesi : "Noi non condividiamo il parere della maggioranza, secondo il quale non vi è stata violazione dell'articolo 3 della Convenzione. Riteniamo fondata l'affermazione del ricorrente, secondo la quale il suo mantenimento sotto il regime speciale di detenzione costituisce un trattamento inumano e degradante tenuto conto del suo stato di salute....siamo inclini a seguire la conclusioni della sentenza Mathew (Mathew c. Pays Bas, n.24919/03), in particolare a giudicare preoccupante, come fa la Corte in questa causa, il fatto che nonostante una domanda formulata a tale scopo dal ricorrente non sembra sia stato avviato alcun tentativo per trovare un luogo di detenzione adeguato all'interessato....secondo noi, la struttura sanitaria del carcere non era un luogo idoneo per detenere il Sig. Enea per più anni, anche se si tiene conto del potenziale pericolo rappresentato dall'interessato in quanto membro di una organizzazione criminale di stampo mafioso....la valutazione del livello minimo di gravità richiesto affinchè un trattamento ricada nel campo di applicazione dell'articolo 3 della Convenzione è una questione soggettiva. A nostro avviso nel caso di specie questo livello è stato raggiunto".

Parole chiare.

Eppure, solo qualche giorno fa, la Presidente della Commissione contro il crimine organizzato, corruzione e riciclaggio dell'UE, On. Sonia Alfano, ha lapidariamente affermato che "in Italia il regime di 41 bis non ha mai violato i diritti dei detenuti".

Cosa lega queste vicende, riguardanti detenuti diversi per età, condizioni detentive, reati commessi, luoghi di privazione della libertà personale?

Viene in gioco la salute, certo, finanche la vita, ma prima ancora la dignità dell'Uomo; del resto, come autorevolmente ricordato (cfr. Massimo La Torre, Marina Lalatta Costerbosa, Legalizzare la tortura? Ascesa e declino dello Stato di diritto, Il Mulino, 2013, 86,87).... "l'articolo primo, comma I, del Grundgesetz, della Legge fondamentale tedesca, fa ricorso alla nozione di dignità umana con una formula ormai divenuta paradigmatica : la dignità dell'uomo è intangibile. Rispettarla e proteggerla è dovere di ogni autorità statuale".

Ancora una volta, parole chiare, venute da lontano.

E da noi?

Con sentenza n.2900, depositata il 22 novembre 2013, la prima Sezione della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Emilia, che lamentava la disapplicazione della circolare del DAP del 16.11.2011 e dei conseguenti ordini di servizio per effetto dell'ordinanza del Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia del

10.01.2013, in accoglimento del reclamo proposto in merito da un detenuto nella Casa di Reclusione di Parma, sottoposto al regime speciale di cui all'art. 41 bis O.P.

Con l'ordinanza gravata era stata disapplicata la circolare de qua nelle parti in cui impone l'acquisto di qualsiasi tipo di stampa tramite specifici canali, impone la sottoscrizione di abbonamenti a periodici tramite la direzione, stabilisce limiti all'accumulo di libri nella cella, stabilisce il divieto di riconsegnare a familiari libri o pubblicazioni.

La Corte ha ritenuto fondato anche il ricorso sottoscritto dall'Avvocatura dello Stato, che riteneva… "particolarmente irragionevole e contraria ai principi dell'ordinamento la disapplicazione di limiti all'accumulo di testi nella cella, essendo evidenti le ragioni di igiene e sicurezza (sic!) che impediscono l'accumulo di libri in un luogo soggetto a frequenti perquisizioni"; non è davvero difficile cogliere la pretestuosità dell'argomentazione addotta a sostegno sul punto, sol che si consideri lo stato di assoluta precarietà igienica, per usare un eufemismo, delle celle occupate da ogni detenuto delle carceri italiane, che non può dunque ragionevolmente dirsi ulteriormente compromesso "dall'accumulo di libri".

Ma vi è di più; la Corte ha ritenuto fondato il ricorso proposto dal Pubblico Ministero reggiano, che aveva sostenuto che… "con le precauzioni indicate nella circolare non veniva limitato il diritto di informazione del detenuto, né poteva ravvisarsi una violazione del diritto della corrispondenza nella limitazione dei pacchi (quali quelli contenenti libri), non rientrando questi nel concetto di corrispondenza epistolare".

La Corte trascura che l'articolo 18 della legge n.354 del 1975 (come ricordato dalla sent. Corte EDU del 17.11.2009, Enea c. Italia, prima citata) stabilisce che i detenuti sono autorizzati a tenere libri e riviste e ad usare altri mezzi di comunicazione, e che questo diritto (come ancora sottolineato dai giudici di Strasburgo)… "può essere soggetto a limitazioni con decisioni dell'autorità giudiziaria, secondo le stesse modalità di quelle previste per la corrispondenza". In definitiva, ancora una volta, ed è un refrain ben noto, la Corte ritiene di far prevalere le regole della sicurezza e le finalità del regime di cui all'art. 41 bis, comma 2 O.P. che ledono norme di rango costituzionale, quali quelle individuate dal Magistrato di Sorveglianza. Sono trascorsi 14 anni dalla nota sentenza n.26/'99 della Consulta, ed è amaro constatare come in quella circostanza, in cui si apriva il varco per la tutela giurisdizionale dei diritti dei detenuti rispetto ad atti lesivi dell'amministrazione penitenziaria, il caso riguardasse il rifiuto della autorità penitenziarie ad autorizzare un detenuto a ricevere una pubblicazione a contenuto erotico.

Pur mutato l'ordine dei fattori, il prodotto non cambia.

Con sentenza n.279, anch’essa depositata il 22 novembre u.s., la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni sollevate dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia e di Milano, relative all'art. 147 c.p. in riferimento agli artt. 2, 3, 27 terzo comma, 117 primo Comma Cost.

La Corte ha riconosciuto il fondamento del bisogno di tutela espresso dalle ordinanze di rimessione, ma ha ritenuto non condivisibile l'asserito carattere "a rime obbligate" dell'intervento – additivo – richiesto dai Giudici a quibus, considerando viceversa rinvenibili... "una pluralità di soluzioni normative che potrebbero essere adottate", anche tenendo conto del fatto che, in tema dei diritti del detenuto, le sentt. n.266 del 2009 e la recente n.135 del 2013 hanno ribadito "un contesto di effettiva tutela giurisdizionale....e dunque la capacità di porre fine a condizioni detentive intollerabili".(?)

E' noto, tuttavia, che non esistono rimedi processuali per dare esecuzione ai provvedimenti eventualmente adottati dalla Magistratura di Sorveglianza, né possono utilmente ipotizzarsi a tal proposito eventuali giudizii di ottemperanza e/o denunce per omissione di atti di ufficio.

Malgrado i richiami alla sentenza Torreggiani ed altri c. Italia, la Corte sembra trascurare la condanna derivante dalla sentenza pilota, che ha ritenuto il sovraffollamento carcerario quale problema strutturale e sistemico del nostro Paese, e non limitato al singolo ricorso (del resto constatato anche dal CPT, nel corso della sua visita periodica, svolta nel maggio 2012), trascurando al contempo il dato che davanti alla CEDU pendono già circa 2800 ricorsi analoghi, momentaneamente sospesi sino alla scadenza del termine concesso all'Italia.

A fronte del lapidario giudizio offerto dalla Consulta in ordine alle questioni sollevate, deve rilevarsi come in particolare la questione proposta dal Tribunale lombardo con ordinanza del 18 marzo 2013 non offrisse in alcun modo una soluzione rinvenibile nell'alveo delle disposizioni vigenti, vista la posizione giuridica del reclamante, e dunque fosse certamente rilevante (e non risolvibile altrimenti) nel caso di specie.

Ma vi è di più; lo stesso rimettente aveva ricordato il precedente intervento additivo della Consulta (sent. n.113 del 7 aprile 2011), relativo alla nuova previsione di uno strumento processuale adatto a rimuovere il giudicato per dare esecuzione alle sentenze di Strasburgo, prima appunto non previsto tra le ipotesi contemplate dall'art. 630 del codice di rito (cui può aggiungersi, per altro verso, la nota sentenza n.26 del 1999, che ha dichiarato la incostituzionalità dell'art.35 O.P., nella parte in cui non prevede una tutela giurisdizionale nei confronti degli atti della amministrazione penitenziaria lesivi dei diritti di coloro che sono sottoposti a restrizione della libertà personale). Anche in quest’ultimo caso, com'è noto, il Legislatore è rimasto inerte di fronte al monito della Corte, e lo schema di tutela è stato costruito in forma pretoria, e poi con l'intervento delle SS.UU.

Con la sentenza n.279/13, tuttavia, la Corte (che è Giudice delle Leggi, e non del fatto) non si esime dall'evidenziare (richiamando una propria analoga e recente presa di posizione) che... "non sarebbe tollerabile l'eccessivo protrarsi dell'inerzia legislativa in ordine al grave problema individuato nella presente pronuncia".

Con rispetto, ma con forza, non può convenirsi con l'arresto citato, poiché esso rivela la contraddittoria presa d'atto di un vulnus domestico in ordine alla tutela dei diritti violati dei detenuti, limitandosi al monito ad intervenire da parte del Legislatore, preconizzando, in caso contrario, un intervento (additivo, siccome a rima obbligata, e non già ablativo) che dunque poteva, e doveva, essere adottato sin da subito.

Molti avevano sperato in un intervento additivo della Consulta che aprisse la strada già sperimentata, in varie forme, in altri Paesi; una soluzione ritenuta da alcuni scandalosa, o addirittura discriminatoria, ma in realtà l'unica in grado di garantire l'osservanza dell'art.3 CEDU e 27 Cost., in attesa dell'attuazione del piano carceri e dell'approvazione di quelle riforme strutturali effettivamente, e non solo eufemisticamente, in grado di incidere sul sovraffollamento carcerario (risale al luglio 2012 il documento programmatico presentato alla stampa anche dall'UCPI, contenente, tra le altre, la proposta dell'istituzione delle c.d. "liste di attesa").

Del resto in Germania, ove non esiste overcrowding penitenziario, la Corte Costituzionale ha valorizzato proprio il ricorso individuale, con intervento giudiziale a carattere discrezionale, nei casi in cui (ove il Giudice lo ritenga) la detenzione avvenga con modalità tali da pregiudicare la stessa legalità della pena inflitta.

Non può dunque convenirsi con le argomentazioni del Giudice delle leggi, che per un verso riconosce che... "occorre un rimedio estremo, il quale, quando non sia altrimenti possibile mediante le ordinarie misure dell’ordinamento penitenziario, permetta una fuoriuscita del detenuto dal circuito carcerario, eventualmente correlata all’applicazione nei suoi confronti di misure sanzionatorie e di controllo non carcerarie" (con questo evocando le c.d. "liste di attesa"), poi ipotizza (a legislazione invariata?)... "un ampio ricorso alla detenzione domiciliare, sempre che le condizioni personali lo consentano, o anche ad altre misure di carattere sanzionatorio e di controllo diverse da quelle attualmente previste, da considerare forme alternative di esecuzione della pena", ed infine si arresta per... "il rispetto delle priorità di valutazione da parte del legislatore sulla congruità dei mezzi per raggiungere un fine costituzionalmente necessario".

E nel frattempo?

Qualche giorno fa il Capo del DAP, Giovanni Tamburino, ha dichiarato che sarà difficile rispettare la sentenza di Strasburgo entro il prossimo mese di maggio.

Nella relazione al Ministro della Giustizia sugli interventi in atto e gli interventi da programmare a breve e medio termine, resa pubblica il 25 novembre u.s., possono cogliersi alcuni elementi di importante riflessione, che vanno al di là delle numerose proposte operative contenute nel documento, frutto di un generoso ed arduo lavoro compiuto dalla Commissione ministeriale per le questioni penitenziarie.

La Commissione ritiene che... "gli interventi programmati e avviati in fase attuativa difficilmente potranno dare i propri frutti senza l’adozione di un provvedimento deflattivo straordinario in grado di avviare la loro stessa realizzazione con numeri più contenuti di presenze in carcere", ed auspica che l’Amministrazione penitenziaria e la Magistratura di Sorveglianza si muovano con... "la piena condivisione di due obiettivi : circoscrivere la detenzione in carcere a forma limitata ed estreme di esecuzione penale; restituire piena legalità alla detenzione".

Amnistia, indulto, diritto penale minimo, legalità della pena e dignità dell’uomo; finalmente, parole chiare.

Così, la relazione segnala la necessità di un maggior impegno delle due Agenzie nel coordinarsi tra loro, l’una attivando e favorendo percorsi trattamentali, in accordo con quanto già previsto dall’art. 57 O.P., l’altra avendo presente soprattutto talune esigenze specifiche dei detenuti, in particolare tossicodipendenti e malati.

A tal proposito, la Commissione ricorda come.... "la salute è bene non disponibile per restrizioni che attengano ad altre esigenze, e ricorda altresì che la non tutela della salute di una persona privata della libertà è stata configurata dalla Corte dei diritti umani d Strasburgo come trattamento inumano o degradante" (viene a mente la recente condanna dell’Italia, nell’affaire Cara Damiani c. Italia); così, ad esempio,... "va preclusa la possibilità di coinvolgere negli sfollamenti soggetti che abbiano bisogno di specifiche cure mediche o che abbiano in corso un trattamento medico", ma più in generale la Commissione sostiene... "la necessità di passare da un approccio prestazionale, di mera risposta a un’esigenza posta dal detenuto, a un approccio di presa in carico dei singoli e del gruppo dei detenuti di un istituto nel suo complesso, attraverso un intervento proattivo di tutela preventiva".

Più avanti, con richiamo alle Regole Penitenziarie Europee (Rec(2006)2), ed in particolare per ciò che attiene al tema delle assegnazione e dei trasferimenti, la Commissione evidenzia la necessità di rispettare i principii della territorialità della pena, del rispetto della volontà del detenuto e della sua situazione personale quando si dispone un trasferimento, e della sua tutela durante la traduzione.

Per concludere, rimandando ad altre occasioni l’esame completo del testo, emerge positivamente dal lavoro svolto dalla Commissione Ministeriale l’idea guida della carcerazione come extrema ratio, anche con opportune sollecitazioni al legislatore e ad altre Commissioni all’uopo istituite, in un quadro che esige in ogni caso il coinvolgimento dei detenuti nel passaggio da un carcere infantilizzante ad uno responsabilizzante, essendo comunque necessario ricordare che i detenuti sono direttamente interessati al risultato delle decisioni relative alla loro detenzione.

Se tutto questo sarà l’inizio di una inversione di tendenza culturale che avvicinerà l’Italia ai parametri europei sia per i numeri della popolazione detenuta e sia per il rispetto dei diritti degli stessi

nelle modalità quotidiane di detenzione o piuttosto il solito intervento tampone dettato dall’emergenza della moratoria europea, sarà il tempo a dirlo.

L’azione politica su questi temi dell’Osservatorio Carcere dell’Unione delle Camere Penali seguiterà ad essere costante nel vigilare, nel proporre e nel denunciare le responsabilità di tutti coloro che, istituzionalmente preposti, si opporranno a risolvere quella che la più alta carica dello Stato ha definito come la quotidiana violazione dei diritti fondamentali che attengono alle persone private della libertà personale.

Nella consapevolezza che il carcere ci riguarda, e che i detenuti ci guardano, non possiamo che incoraggiare il prosieguo del lavoro iniziato, con l’auspicio e l’impegno di ognuno di noi affinchè lo Stato rispetti la salute, la vita e la dignità di tutte le persone in custodia.

Malgrado tutto, è nostro dovere.

Roma, 10 dicembre 2013

Osservatorio Carcere